mercoledì 11 ottobre 2017

RICERCHE SULL'OMOGENITORIALITA'

Intervista al sociologo americano PaulSullins 
che in un suo testo  compie un'analisi critica 
delle ricerche sui figli delle coppie omogenitoriali. 
L'intervista, a cura di Luciano Moia è apparsa su L'Avvenire (3.10.2017) in occasione di un Seminario alla Cattolica e dell'uscita del libro di 
Elena Canzi, Omogenitorialità, filiazione e dintorni 
(presentazione di Eugenia Scabini e Vittorio Cigoli), 
edito da Vita e Pensiero, Milano 2017. 




L’analisi attenta e senza pregiudizi delle circa 75 ricerche realizzate soprattutto negli Stati Uniti sui figli di genitori omosessuali mostra che la tesi della "nessuna differenza" è scientificamente infondata. «I figli di genitori omosessuali hanno il doppio delle probabilità di sviluppare problematiche emotive – depressione e ansia – rispetto agli altri bambini». Lo afferma Paul Sullins, docente di sociologia alla Catholic University of America di Washington, considerato tra i massimi studiosi del tema, autore di importanti studi sul tema dell’adattamento dei figli di coppie omosessuali, intervenuto nei giorni scorsi a un seminario organizzato all’Università Cattolica di Milano.




In Italia, anche a livello scientifico, è quasi impossibile discutere con moderazione sul tema dell’omogenitorialità. Chi solleva dubbi circa la tesi secondo cui i bambini dei genitori dello stesso sesso non mostrano problemi di sviluppo, è facilmente accusato di omofobia. Succede lo stesso negli Stati Uniti?


Penso che noi, che riconosciamo la presenza di problemi nello sviluppo di figli di coppie omosessuali, siamo sovente accusati di omofobia perché le prove in questa direzione sono talmente forti che coloro che ingenuamente accettano la tesi opposta avrebbero altrimenti ben pochi argomenti. Dobbiamo ricordare che molti, probabilmente la maggior parte, degli scienziati in questo campo sono essi stessi omosessuali e rispondono a livello emotivo e personale. Forse sono stati, a propria volta, oggetto di stigmatizzazione per il proprio orientamento sessuale. Quando mostriamo loro delle prove a sostegno delle difficoltà affrontate da queste famiglie, stiamo dunque loro chiedendo di affrontare una verità difficile.

La maggior parte della letteratura scientifica afferma che non esistono differenze tra i bambini di genitori dello stesso sesso e figli di genitori eterosessuali. È proprio così?

La tesi secondo la quale non ci sarebbero differenze tra i figli di famiglie omo ed eterosessuali è una pura invenzione, senza alcun fondamento scientifico. Ci sono due problemi principali nei circa 75 studi su cui tale tesi è fondata. Innanzitutto, la possibilità di trarre inferenze scientifiche si basa sull’utilizzo di campioni casuali accuratamente selezionati ma la maggior parte degli studi (almeno 70) non fa uso di un campione casuale. Al contrario, i partecipanti a questi studi vengono selezionati tra i membri attivi di gruppi a supporto della genitorialità gay.

Quali problemi dal punto di vista metodologico?


La maggior parte delle ricerche conta su meno di 40 partecipanti. Secondariamente, nessuno dei quattro o cinque studi che fanno uso di un campione casuale ha identificato direttamente le coppie omosessuali ma si è invece basato su un calcolo che, come abbiamo appurato, classifica erroneamente le coppie eterosessuali come omosessuali, sovrastimandone così il numero.

Riferendosi ai suoi studi, quali sono le difficoltà più comuni riscontrate nei bambini dei genitori dello stesso sesso?

I figli di genitori omosessuali hanno il doppio delle probabilità di sviluppare problematiche emotive – depressione e ansia – rispetto agli altri bambini. Ho potuto riscontrare risultati analoghi in molte mie ricerche che usavano database diversi e anche altri studiosi sono giunti a conclusioni simili, anche mediante studi longitudinali, che hanno seguito i bambini per oltre 20 anni.

Possiamo attribuire queste difficoltà alla stigmatizzazione da parte della società nei confronti delle persone omosessuali?

La stigmatizzazione è indubbiamente un problema ma non è un problema più grave per i figli di coppie gay né è in grado di spiegarne la maggior vulnerabilità. Ciò non significa in alcun modo che la stigmatizzazione sia accettabile. In tal senso, dobbiamo impegnarci per ridurre gli episodi di bullismo e vittimizzazione che costituiscono un problema grave per molti bambini, inclusi i figli di coppie gay.

Si sentirebbe di sostenere l’approvazione di leggi che permettono l’adozione da parte di genitori dello stesso sesso?

In generale no, ma credo possano sempre esserci delle eccezioni. Non credo che i risultati della mia ricerca possano diventare un punto a favore dell’adozione da parte di coppie omosessuali, dal momento che i figli di coppie adottive fanno già esperienza di maggiori difficoltà emotive. Dovremmo però chiederci qual è il superiore interesse del bambino. Dal momento che è cinquanta volte più probabile che un bambino sia eterosessuale piuttosto che omosessuale, il superiore interesse del bambino dovrebbe risiedere nel suo affidamento ad una coppia eterosessuale.

Una regola da rispettare in qualunque situazione?

No, non dovrebbe essere applicata in maniera rigida o automatica, fondata su ideologie politiche, di qualunque colore esse siano. Quando si prende in considerazione l’adozione da parte di un individuo omosessuale, occorre distinguere tra l’adozione da parte di due genitori – in cui due persone, nessuna delle quali legata al bambino da rapporti di parentela, chiedono allo stesso tempo di diventare legalmente genitori di un minore – e l’adozione da parte di un solo genitore, in cui il partner di uno dei genitori biologici del bambino chiede di poterlo adottare. Posso immaginare casi in cui permettere questo secondo caso (l’adozione da parte di un genitore) possa rappresentare l’interesse del bambino, ad esempio quando non è possibile ottenere supporto materiale e morale da parte dell’altro genitore naturale.

L'INCONTRO (a cura di Monica Accordini)

Presentata alla Cattolica la ricerca che prende in esame gli studi sul tema
«Omogenitorialità e filiazione» è stato il titolo del seminario internazionale organizzato nei giorni scorsi all’Università cattolica di Milano. L’iniziativa, realizzata dal Centro di ateneo Studi e ricerche sulla famiglia diretto da Giovanna Rossi – che ha introdotto la giornata – è stata pensata per presentare il testo di Elena Canzi, "Omogenitorialità, filiazione e dintorni. Un’analisi critica delle ricerche" (Vita e pensiero", pag.120, euro 15) ed è stata impostata sulla lectio di Paul Sullins (Catholic University of America di Washington) che parlato sui "Risultati dello sviluppo per i figli di genitori dello stesso sesso: quello che sappiamo, e quello che non sappiamo". Per la presentazione del testo, oltre alla stessa autrice, sono interventi Eugenia Scabini e Vittorio Cigoli, già docenti di psicologia nello stesso ateneo, che hanno scritto l’introduzione al saggio, di fatto la prima analisi critica pubblicata in Italia sulle ricerche che si occupano di figli di coppie omosessuali (ne abbiamo anticipato ampi stralci sul numero di "Noi famiglia & vita" di luglio): «Dal corpus delle ricerche presentate – hanno sottolineato tra l’altro i due esperti – risulta di tutta evidenza la forzatura della tesi della "non differenza"... A un livello più "meta" di riflessione empirica abbiamo rilevato la scorrettezza epistemologica prima che empirica sulla capacità della ricerca di "dimostrare" una tesi di così ampia portata». Riflessioni di grande interesse anche a proposito delle sensazioni sperimentate dai figli di genitori omosessuali: «Sono soprattutto i genitori dei figli a fornirci elementi per poter comprendere alcuni aspetti dei loro vissuti. Essi si sentono in difficoltà coi coetanei per timore che giudichino male la loro famiglia... e sappiamo quanto questo tasto sia delicato in particolare per i soggetti in crescita».

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