venerdì 17 giugno 2016

L'EUGENETICA: COSTRUZIONE CHIMICA DELLA PERSONA UMANA. Giuliano Ferrara

Ringraziando Giuliano Ferrara,
pubblichiamo il suo articolo uscito su "Il Foglio" del 17.6.16 con il titolo "Vendola, storia di un altro mondo".
Al di là degli aspetti contingenti, 
l'articolo propone molte riflessioni. 


Francesco Merlo è andato a Montréal, Canada, per la prima intervista a Nichi Vendola sulla sua recente paternità. Comprensione e apertura mentale campeggiano nel testo, racconto o “narrazione” che si voglia dire, trattandosi di Nichi.
C’è equilibrio. Anche la rabbia verso commenti italiani all’annuncio della “gestazione per altri” e del suo esito felice, “the baby is coming”, è stemperata, sa di genuino, di amaro, ma non è troppo censoria verso chi non capisce. Nichi si sente protetto. La casetta in Canada, l’appartamentino a Roma, la casetta a Terlizzi per coltivare la gioia delle radici, zie nonne e altre figure femminili che danno una mano, il suo compagno giovane con la testa sulle spalle, il bambino avrà tre passaporti (americano, canadese e italiano), la pratica per la tutela sarà evasa in condizioni civili accettabili o per via di legge o per via di sentenza togata, i bigotti e le femministe che hanno obiettato alla “gestazione per altri” se ne faranno un ragione. C’è l’amore, c’è il ruolo della scienza,
c’è la demonizzazione della famiglia violenta (il femminicidio) e la glorificazione della famiglia per desiderio, intuita con affetto dal popolo che circonda Nichi. C’è magari un rimpianto ideologico, quel molto di comunismo immaginario del passato e quel poco di battaglia liberale per i diritti civili, ma la vita supera sempre sé stessa, e si può andare avanti tra letteratura (le poesie della nascita sono già stata consegnate all’editore) e politica e avventure dell’esistenza.
Il pezzo di Merlo aggiunge alla testimonianza, di per sé encomiabile, un tanto di prezioso e di raro, di favolistico, ma con misura, notazioni patetiche ma non melense, con la protezione dal freddo delle orecchie di Tobia, con la pulizia canadese degli interni, con l’accoglienza estrema e disinteressata agli immigrati (siete venuti in città, prendetevela), le pareti di legno chiaro, l’apparato per fasciare il pupo, la genealogia dei nomi di famiglia, la foto bellissima della coppia maschile che coccola il neonato, tutto a posto.
Anche la parte più ibrida, quella dei costi dell’operazione e dei risarcimenti, è svolta con delicatezza: l’agenzia, il piccolo dono alla famiglia californiana della “gestante per altri” e alla donatrice di ovulo, il ricovero per il parto, le fees varie dovute, il latte donato per qualche tempo, l’allattamento o nutrizione con gli ottimi mezzi non biologici per il figlio biologico di Ed e desiderante e amoroso di Nichi. Come dicemmo qui all’epoca, andrà tutto bene e c’è un bambino in più che sarà accudito, e come dicono loro con il conforto del professor Veronesi tra vent’anni sarà tutto ordinario e perfino banale. La famiglia si promuove anche così, che volete. Certo si poteva adottare, e alla fine da parte di Nichi quella è proprio una via complicata all’adozione, alla tutela, più che alla paternità biologica surrogata da una maternità per altri, ma saranno poi fatti loro, uno si dice.
      Eppure è una storia dell’altro mondo o meglio di un altro mondo. La carne e l’incarnazione hanno un posto sbilenco, legato al desiderio ma anche alla sua realizzazione tecnica, a un gesto solitario della volontà che supera la barriera della impossibile fecondità naturale negli amanti o coniugi, a un apparato che riformula nelle regole, nel commercio (inteso senza moralismi), nella persona umana trattata come strumento e non come fine kantiano, elaborata nell’ambito di un patto faustiano, e qui si parla della provetta e dell’alchimia e della distillazione della vita non del diavolo. La donna ha un ruolo non di assistenza, come nelle vecchie nutrici o balie, ma di generazione surrogata, il che è altra cosa. Senza essere bigotto, e senza minimamente alludere al fantasma evocato da Merlo del figlio della colpa, figuriamoci, coltivo il dubbio razionale e anche il rigetto istintivo di questo altro mondo così fatto. Probabilmente sbaglio, ma quando tutto sarà ordinario, generalizzato nella grande era igienista che ci attende e già si dipana sotto i nostri occhi, avremo perso qualcosa. Qualcosa che riguarda l’ordine della realtà esistenziale, la cooperazione efficace e carnale tra diversi in attesa di una vita nuova, e non c’entra solo la tenuta della Bibbia e delle sue terre promes- se, che in sé non sarebbe poi poca cosa; in questa vittoria sulla sterilità c’è qualcosa di troppo, una superbia che s’intravede nell’umiltà dell’atto, e l’idea molto pratica che avere un bambino è un fatto eminente- mente di laboratorio, un atto clinico. E che il quando e il come di una nascita, la scelta libera e innaturale di mettere in conto terzi la gestazione di un bambino, possono essere programmati eu-geneticamente, eu-amorosamente, eu-desiderantemente, fottendosene dei protocolli che la storia naturale degli uomini e delle donne hanno contribuito a scrivere. Con tutta la voglia di ascoltare e credere a una favola, la reazione resta quella di Silvio Orlando in un noto film di Moretti: “Queste cose non raccontatemele, perché non le capisco”. E se le capissi, non sarei mai severo contro un bambino di tre mesi, mai censorio verso un amore quale che esso sia, ma nemmeno indulgente verso la costruzione chimica della persona umana.

giovedì 9 giugno 2016

ARCIPELAGO GENDER. Giovanni Sias sul libro di Ricci

Giovanni Sias interviene sul libro Sessualità e politica 
di Giancarlo Ricci con alcune riflessioni 


La lettura dell’ultimo lavoro di Giancarlo Ricci, Sessualità e politica (Sugarco 2016) impegna in alcune riflessioni che riguardano da vicino la nostra vita nella contingenza storica, E’ anche, e forse soprattutto, occasione per trovare una via non ideologica, per tentare di cogliere che cosa passa oggi a livello mediatico e nei luoghi comuni che attraversano le società del nostro tempo. Forse è questa l’indicazione contenuta nel sottotitolo del libro: Viaggio nell’arcipelago gender. E che il «gender», espressione di una libertà falsa e distorta, sia di ordine squisitamente ideologico mi sembra fuori di dubbio. Che una persona ritenga di poter scegliere il «genere» a cui appartenere benché nasca maschio o femmina, e si ritenga in potere di sovvertire tale statuto biologico ancor prima che antropologico, non può che essere frutto di un’idea di onnipotenza sostenuta dalla potenza della tecnica.

Che si tratti di ideologia lo sottolinea anche il fatto, non irrilevante, che in questo dibattito sociale non sembra che ci sia spazio per discutere, sia sul piano etico sia su quello scientifico: il pensiero gender, sostenuto dai programmi accademici di psicologi e sociologi (e cioè di quelle teorie che il nostro Ugo Spirito chiamava «false scienze») che ne hanno costruito l’ideologia, si presenta come indiscutibile e corre per la sua strada egemonica senza trovare ostacoli, sostenuto dalla politica e dalla falsa-scienza dei nostri tempi.
Che l’autore abbia voluto, con questo libro, portare il confronto sul piano del linguaggio, evitando ogni trabocchetto ideologico, è il suo merito, ed è il suo tentativo di riportare un dibattito sul piano della scienza. Infatti, se vogliamo leggerlo dobbiamo partire dalla frase tratta da Freud e messa in esergo: «La psicanalisi non ha il compito di rendere impossibili le relazioni problematiche, ma di creare per l’Io del paziente la libertà di optare per una soluzione». Qui si trova, o almeno così a me pare, l’indirizzo per leggere in modo corretto il libro di Ricci.
La struttura del libro poi rimanda a questioni e a tematiche che si sviluppano eminentemente sul piano linguistico. Organizzato come un dizionario prende in considerazione tutti i termini (dalla A di abuso alla V di vittimismo) che caratterizzano il linguaggio intorno a tali questioni, e se seguiamo il percorso che analizza il senso che le parole acquisiscono nell’«arcipelago gender», e più in specifico nel linguaggio corrente, ci accorgiamo come tutto questo discorso su una presunta facoltà umana, che non vuole tener presente la sessualità come elemento determinato dal caso (naturale, biologico, e anche antropologico per quanto riguarda una cultura dell’umano), ma lo considera solo un elemento sociale, in cui la sessualità è pensata come scelta «libera» di un ipostatizzato e illusorio soggetto a cui la filosofia da lunghi anni (quattro secoli!) ci ha assuefatti, ci troviamo a considerare come il trionfo del narcisismo scivoli sempre più nella perversione, e che le società attuali, sul piano finanziario, tecnologico, economico e politico, attuano la perversione come espressa possibilità di dominio, di controllo e di assuefazione delle coscienze.