lunedì 25 febbraio 2013

A DIFESA DELLA DIFFERENZA


Pubblichiamo alcuni passi dell’introduzione di Giorgio Israel   al testo Quello che spesso si dimentica di dire. Matrimonio omosessuale, omogenitorialità e adozione” del gran rabbino di Francia, Gilles Bernheim.  
Resa posssibile dalla collaborazione tra la casa editrice CulturaCattolica.it e la casa editrice ebraica Salomone Belforte & C. (trad. di P. L. Cabantous, pp.67), il pamphlet (ottobre 2012) contiene nell’edizione italiana anche una prefazione dell’arcivescovo di Ferrara-Comacchio, Luigi Negri, una postfazione del rabbino di Torino, Alberto Moshe Somekh e un testo su Marc Chagall di Maria Gloria Riva. 
    
     "Se il saggio del gran rabbino di Francia Gilles Bernheim, che ora viene offerto al lettore italiano, avesse contestato il matrimonio omosessuale secondo i principi della legge ebraica, esso non avrebbe avuto la portata e la risonanza che ha invece conosciuto.  Come è chiarito nell’introduzione al saggio, l’autore non ha fatto alcun riferimento ai divieti contenuti nel Levitico e si è riferito piuttosto all’idea generale che la Bibbia offre della problematica del “genere” e alle valutazioni morali connesse.(...) Nella nostra epoca, e anche nell’ambito delle religioni monoteiste, si sta perdendo il senso di cos’è la morale, troppo spesso confusa con un’etica che è divenuta un complesso di norme pratiche frutto di negoziazione tra punti di vista diversi.(...). Bernheim è andato alla ricerca dei principi morali che debbono guidarci nel giudizio e che debbono essere in consonanza con una visione umanistica secondo la quale l’uomo non è né mero oggetto della tecnoscienza né un agente mosso dal solo intento di ottimizzare il proprio benessere. Le religioni monoteiste – l’ebraismo e il cristianesimo, in particolare – hanno avuto la straordinaria funzione storica di porre al centro della vita la considerazione della sfera morale, concependo l’uomo come un “fine in sé”, come diceva Immanuel Kant e come ripeteva Karl Popper sottolineando che l’uomo è qualcosa di profondamente diverso da una macchina.(...)
    Ma, appunto, lo scritto del rabbino Bernheim offre argomenti che non è necessario essere credenti per accettare.(..). Egli ha identificato nella teoria del “gender” la punta di lancia di una battaglia ideologica volta a distruggere quello che viene chiamato l’“essenzialismo” della cultura occidentale (...). Meramente culturale sarebbe la contrapposizione tra il corpo inteso come naturalità e l’artificialità: la tecnologia ci permette di pensare ogni sorta di  intervento sul corpo che superi i processi naturali e vada verso la costituzione di un essere “misto”, un “cyborg”, una miscela di naturale e di artificiale." 


domenica 17 febbraio 2013

LEGALITA', LEGITTIMITA' E IPERTROFIA DEI DIRITTI di Giancarlo Ricci


 L’articolo di Giorgio Agamben, uscito sabato 16 febbraio su “Repubblica” con il titolo “Legalità e legittimità del potere" 
http://www.napolionline.org/2013/02/16/editoriali/legalita-e-legittimita-del-potere-cosa-insegna-alla-politica-la-rinuncia-di-ratzinger/
pone come fulcro di alcune importanti riflessioni, 
il nodo tra legittimità e legalità

Nodo essenziale e imprescindibile quello tra legittimità e legalità: la sua consapevolezza si perde nella devastante sindrome autoimmune che pervade l’idea di libertà nella società e la civiltà ipermoderne. Immerse nel loro parametro neoliberista, queste producono in massa individui che sottostanno, in nome della libertà, all’obbligo del godimento di merci di ogni tipo. Al punto, sembrerebbe suggerire Giorgio Agamben, che anche la leggittimità è diventata una merce il cui spaccio legale assicura una curiosa pratica cannibalica. E’ come un grandioso gioco di prestigio che tuttti denunciano e che tutti praticano: con una mano si mostra la legittimità con l’altra si sfila la legalità sotto il naso. 
Tra i vari effetti di “inarrestabile processo di decadenza” c’è anche quello del disorientamento di ogni processo di soggettivazione. “L’ipertrofia del diritto, che pretende di legiferare su tutto, tradisce anzi, attraverso un eccesso di legalità formale, la perdita di ogni legittimità sostanziale”. Pensando a questa  ipertrofia del diritto cui accenna Giorgio Agamben viene in mente la demagogia che cresce intorno ai “matrimoni gay” e ai loro diritti di adozione di figli. Il richiamo a simili “diritti”, che ovviamente non possono che essere definiti legittimi e civili, oscura l’interrogazione intorno alla domanda di legalità: chiedo che lo Stato riconosca il nostro desiderio, che ne faccia un legittimo diritto e che ne garantisca un’esistenza giuridica. E che poi, ovviamente, agisca con tutta la legalità possibile contro chi la pensa differentemente. 



Così il diritto, la più antica e sapiente scienza del simbolico, rischia di diventare oggi una scienza dei numeri, dei sondaggi, delle tendenze dei nuovi tempi, dell’amministrazione di diritti e di soggettività omologate. E il resto è giustizia. Scusate, volevo dire giustizialismo. Dipende se preferite il diritto al godimento o il godimento del diritto. 

martedì 12 febbraio 2013

ABOLIRE LA DIFFERENZA SESSUALE


Dalla trasmissione MELOG di RADIO 24 andata in onda il 7.2.2013,  condotta da Gianluca Nicoletti. Tra gli ospiti una nota antropologa, Ida Magli, prende posizione sui diritti dei gay alla famiglia e sull’adozione dei figli.
In sintesi: abolire la differenza per governare meglio. 
Trascriviamo e pubblichiamo alcuni passaggi.


     "La società, un gruppo qualsiasi, protegge la prosecuzione della propria vita proteggendo il nuovo nato. Quindi c’è l’obbligo di provvedere, da parte della coppia, e di stare insieme al nuovo nato: è questione di istituzioni matrimoniali: risulta da sempre un obbligo (...). 
    Sto parlando di strutture sociali di cui oggi si è persa persino la capacità di pensarle. Quando sento parlare dappertutto di diritti, ci dimentichiamo per esempio che noi paghiamo le tasse per salvare la società, non per salvare noi stessi. Chiaramente facendo quello che riteniamo serva soltanto all’individuo, ci dimentichiamo che  apparteniamo a una società, a un gruppo (...).
      Io sono convinta che l’omosessualità odierna nel giro di pochi anni è diventata da fattore negativo a fattore perlomeno neutro o addirittura positivo; sento ormai che c’è chi si vanta  di essere omosessuale, cosa che in altri tempi non sarebbe successo.    
   Gli omosessuali sono diventati un fattore di omogeneizzazione e cioè si diventa tutti uguali, anche chi  sembrava più diverso, anche l’omosessualità diventa uguale. E questo è un processo voluto dalla mondializzazione, ossia ci sono poche persone che guidano nascostamente il mondo, quello occidentale, parlo di banchieri, che tendono per affermare il mercato mondiale a organizzare e a ridurre gli individui ed esseri uguali". 

mercoledì 6 febbraio 2013

OMOGENITORIALITA' di Anthony-Michele Grieco

Pubblichiamo di seguito alcuni passi del contributo di uno psicanalista, Anthony-Michele Grieco (membro dell'APJL, Toulouse), che esplora il tema dell'omogenitorialità 
anche in una prospettiva storica.
 http://psy.villabella.online.fr/blog/files/ded9df78c3f2dd625a64cd85472c9d6e-9.html

    S’agissant des questions relatives à l’homosexualité, des psychanalystes et des psychiatres ont voulu prendre la parole pour donner leur avis sur la question. Pourquoi pas en effet mais sans doute faut-il, pour éclairer ce débat, revenir quelques années en arrière, soit une cinquantaine d’années environ, pour mieux en saisir les enjeux. Allez, si les psychanalystes laissaient entendre que finalement ne va pas de soi, ne seraient-ils pas fondés à le faire et à poser par là même quelques interrogations sur le fonctionnement de notre société ? 
    Dans ces années la question de l’homosexualité se posait pour les analystes en termes de perversion et d’indication de la cure. Comme l’expérience avait largement démontré qu’un homosexuel persistait dans ses choix quelles que soient les modalités de la cure, l’engager dans cette aventure paraissait pour le moins risqué pour l’un comme pour l’autre. Et comme à cette époque les analystes parlaient encore indication, ayant en tête les limites de leur art, les homosexuels étaient généralement absents des divans.
     C’est sans doute à Jacques Lacan et à ses « élèves » que l’on doit les premières ouvertures dans ce domaine et l’apparition conséquente d’analystes eux-mêmes homosexuels.   


     Ce changement radical de perspective était cohérent avec une modification de la finalité de la cure elle–même celle-ci visant non plus à obtenir un changement dans le choix d’objet sexuel mais plutôt s’efforçant d’entendre dans la parole du patient la problématique inconsciente dans laquelle l’homosexualité entrait seulement comme l’une des composantes mais pas la seule et pas nécessairement la plus importante.